sabato 19 dicembre 2009




cos'hanno in comune un aborigeno ed un inuit? all'apparenza, nulla. in realtà, solo la forma esterna. entrambi nascono, vivono, crescono, muoiono. uno dei due prende più sole ed avrà la pelle bruciata; ma l'altro prende più vento e più freddo, ed avrà la pelle segnata da questo. differenze esterne. differenze buone per una tigre, o per un orso polare affamato: noi, homo sapiens, abbiamo sviluppato il dono di vedere Oltre. di vedere la Storia, quella degli uomini. Storie che, come per magie, sono identiche. rabbia, gioia, felicità, gelosia, tristezza, soddisfazione, impegno e mille altre ancora: non credo di aver avuto abbastanza tempo per conoscere tutte le sfumature con cui può essere dipinta una Storia.
le Storie, di cui non vi racconto qui perchè non mi chiamo Manzoni e non voglio essere prolisso, sia quella di Dayindi che quella di Atanrjuat si perdono nelle nebbie dei tempi. antichissime. prima che l'uomo creasse il denaro, la fama, il telefono cellulare. eppure queste storie, se Ascoltate, ci piombano addosso attualissime e più forti che mai. se Ascoltate, ti prendono per il bavero della camicia e ti scuotono con un vigore degno di un giovane acrobata. perchè? perchè parlano di Uomini, di Noi. senza parole complicate, senza burocrazia formale. sono arrivate fino a noi perchè sono Storie degne di essere Ascoltate. e scrivere una Storia degna di tale onore avendo a disposizione una lancia di bambù o di osso di balena è un compito che necessita particolare impegno, questo è inopinabile.


proprio qui, mi fermo a riflettere. mi guardo attorno, vedo muri di mattoni e cemento e ferro, vedo un netbook, vedo una rete che mi consente di poter comunicare dall'altr parte del globo terracqueo all'istante, vedo libri stampati. sono strumenti che ci facilitano la vita. ci mettono tra mani la possibilità di scrivere la nostra storia. quante cose avrebbero potuto fare Dayindi ed Atanarjuat, con un coltellino svizzero al posto della selce o di un osso. Noi, ora, siamo in un'epoca d'oro. abbiamo la possibilità di scrivere e sviluppare la nostra storia. farla diventare degna di essere raccontata. solo che l'uomo dentro di noi viene imbavagliato e rinchiuso nel dimenticatoio da tutto ciò che è non-uomo: così ci dimentichiamo che siamo Uomini e di come si scrive la Storia di un Uomo. e crediamo all'illusione che tutto ciò che è non-uomo ci serva, come l'ossigeno, per Vivere. ma è Vita? la Vita è qualcosa di virale. dove c'è Vita si genera altra Vita, queste energie si toccano, si scontrano, si uniscono, si dividono, si rimescolano in quel caos che ci dà energie per vivere. queste forze siamo Noi, che ci sfioriamo, ci guardiamo, ci scontriamo, ci uniamo, ci assimiliano e ci dividiamo. la comunità prospera quando gli elementi sono relazionati gli uni agli altri. c'è movimento, energia. un'insieme di elementi variopinti ma separati gli uni dagli altri è solo un mucchio di "cose" senza froma. pensate ad un mucchio di mattoni in una pozzanghera con sopra un sacco di cemento. ora pensate ad un muro. acqua, cemento, mattoni. relazionati tra di loro, connessi. quel muro può fare ombra, può reggere un tetto, può essere dipinto, può farci da sostegno, ci possiamo giocare a muretto, ci attacchiamo un quadro. il mucchio di mattoni nella pozzanghera...fa disordine, non serve a niente. però è servito a chi ha venduto il materiale.


Noi, Uomini, abbiamo in mano gli strumenti per fare Cose. ma non da soli. siamo tutti qui, con gli occhi bendati: non possiamo vederci, possiamo solo sentirci e raccontarci le storie che vediamo dipinte sull'interno delle nostre bende, ognuno che crede che la sua benda sia la più bella di tutte. dobbiamo avere il coraggio di levare le bende che proteggono i nostri occhi, disegnate di oro e pietre preziose all'interno, e farci bruciare gli occhi dal sole per vederci l'un l'altro, accorgersi di non essere mattoni e acqua e cemento buttati lì a caso e scoprire che nessuna cosa possiamo aver visto disegnata nelle nostre bende può essere più vivida delle Storie che sentiamo e Vediamo con i nostri occhi e le nostre orecchie. non dico che non sia indolore: se non abbiamo mai usato gli occhi alla luce del sole prima d'ora, dovremo abituarci. e mentre si patisce per il dolore, chi a fianco è ancora bendato può farci notare come si stia benissimo al riparo della benda, ma a quel punto, noi saremmo già persi negli occhi (sbendati) di quelle meravigliose creature che sono gli Uomini attorno a noi.


E uno dopo l'altro, pian piano, ci sveglieremo e ci scopriremo Uomini.

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